I morti di Hillsborough
» modern days | 27 April 2015, 10:19 | ::
La tragedia di Hillsborough è l’evento che più di ogni altro ha contribuito alla nascita di quello che chiamano calcio moderno.
Il cosiddetto modello inglese – quello degli stadi con soli posti a sedere, prezzi inaccessibili, steward e repressione di qualsiasi manifestazione di una autonoma cultura del tifo – prese le mosse mentre i corpi spappolati di un centinaio di tifosi del Liverpool erano ancora caldi, in un pomeriggio di aprile venticinque anni fa.
Quel giorno, mentre iniziava la semifinale della FA Cup tra Liverpool e Nottingham Forest sul campo neutro di Sheffield, 94 tifosi del Liverpool andarono incontro a una morte atroce schiacciati l’uno contro l’altro in una calca dai contorni apocalittici, le cui ragioni non furono inizialmente chiare. La dinamica dei fatti oggi è ben nota ed è ricostruita dettagliatamente anche nella voce di Wikipedia, ma sul momento la responsabilità degli eventi fu immediatamente attribuita agli “hooligan”. Nei mesi seguenti – col pretesto di fare in modo che mai più degli scalmanati ubriaconi mettessero piede in uno stadio, e con l’aiuto di una enorme campagna di stampa guidata dal Sun – la Gran Bretagna di Margaret Thatcher si dotò di una legislazione restrittiva e ultrarepressiva che in pochi anni avrebbe distrutto il calcio come fenomeno culturale genuinamente popolare e lo avrebbe trasformato in redditizio prodotto commerciale da vendere alla middle class. Un prodotto dal quale proprio il padrone del Sun, Rupert Murdoch, avrebbe saputo guadagnare più di chiunque altro con le sue tv a pagamento.
Oggi, finalmente, diviene ufficiale l’acqua calda. Ovvero che responsabili di quella tragedia non furono i tifosi, ma in primo luogo la polizia, che schiacciò deliberatamente la gente in un angolo dello stadio, e in secondo luogo la dirigenza dello Sheffield Wednesday e le autorità che avevano pianificato in maniera dilettantesca i percorsi di accesso allo stadio e allocato i biglietti della partita in modo da massimizzare il profitto, senza tenere conto delle reali proporzioni delle tifoserie. Si scopre ciò che a Liverpool sapevano tutti: che le notizie che il Sun strillò per mesi e mesi furono non semplicemente manipolate, ma inventate di sana pianta. Notizie grottescamente infamanti, come quella che una ragazza sarebbe stata violentata nella calca, addirittura quando era già morta, o che i tifosi avrebbero sfilato i portafogli dai corpi senza vita dei loro compagni, orinato addosso ai poliziotti costretti a terra, picchiato i soccorritori e altre amenità di questo genere. Questa roba fu data in pasto a un’opinione pubblica che si bevve tutto, già predisposta com’era alla diffidenza quando non all’ostilità vera e propria verso quei settentrionali – in prevalenza operai, minatori, dipendenti statali – che la Thatcher non aveva esitato a definire nemici interni. La guerra contro i tifosi di calcio in Gran Bretagna è stata parte integrante di quella guerra più ampia verso la classe operaia e le organizzazioni che la rappresentavano, i sindacati innanzitutto, che il governo conservatore aveva intrapreso fin dal 1979. Una guerra che avrebbe portato al cambio di pelle di un Paese che smantellava la propria base industriale e con essa il welfare, fino ad allora esteso e onnicomprensivo, per trasformarsi nel paradiso del turbocapitalismo finanziario che conosciamo oggi. Quelle porcherie stampate sui tabloid per mesi furono determinanti per il processo di deumanizzazione dei tifosi di calcio che preparò il terreno alla loro marginalizzazione e repressione. Il governo si avviava a spezzare le reni ai tifosi di calcio, esattamente come aveva spezzato le reni ai minatori, ai portuali, agli operai delle acciaierie, proprio negli stessi luoghi: le città industriali del Nord e la città di Liverpool – quella che maggiormente aveva resistito alle politiche dei conservatori, eleggendo un consiglio comunale controllato addirittura dalla Militant tendency, la fazione dell’ultrasinistra all’interno del Labour party.
Da quel momento fu addirittura proibito vedere le partite stando in piedi, proibita la vendita dei biglietti il giorno della partita, proibito srotolare uno striscione o accendere un fumogeno. Allo stadio si sarebbe andati come si va a teatro o a un funerale: seduti composti nel posto assegnato, al massimo intonando qualche canzoncina guidati dallo speaker. E soprattutto, da quel momento in poi, per andare allo stadio nelle categorie superiori si sarebbe pagato un prezzo deliberatamente inaccessibile a chiunque percepisse un reddito basso.
La classe operaia inglese che, esattamente cento anni prima il calcio l’aveva inventato, non poteva più permetterselo.
Quindi non furono solo i 96 morti e il calcio stesso le uniche vittime di Hillsborough. Quei fatti contribuirono anche a modellare la percezione che nel paese si aveva degli scouse, gli abitanti di Liverpool, come conferma questo illuminante pezzo di quel personaggio farsesco che poi sarebbe diventato sindaco di Londra e che ora rischia di diventare Primo Ministro.
Il dolore, la rabbia e la frustrazione di chi fu testimone dei fatti e per anni si trovò dalla parte del torto, perché la parola di un tifoso di calcio non vale quanto quella di uno sbirro o di un giornalista prezzolato, sono entrate a far parte della mitologia e della cultura popolare, non sono calcistica, di Liverpool. Ancora oggi, per fare un esempio, il Sun – che disgraziatamente è il tabloid più diffuso in Inghilterra – è quasi impossibile da trovare nelle edicole della città, per via di un boicottaggio ormai ventennale. La leggenda vuole anche che il capitano del Liverpool, Steven Gerrard, che nel 1987 aveva sette anni e giocava nei pulcini, abbia giurato eterna fedeltà al club davanti al corpo del cuginetto di dieci anni morto a Hillsborough. E per i successivi 22 anni infatti non avrebbe cambiato casacca.
Con il boicottaggio, con la lotta generosa e incessante dei familiari delle vittime per la verità, con il comportamento di Gerrard e altri mille piccoli episodi, i rozzi portuali del Merseyside si dimostrarono capaci di una integrità e di una determinazione sconosciuti alla loro controparte borghese e moralista. Oggi l’allora direttore del Sun chiede loro perdono. Addirittura il primo ministro Cameron ha chiesto pubblicamente scusa ai tifosi del Liverpool, proprio come fece con gli irlandesi di Derry, con quarant’anni buoni di ritardo.
Ma le scuse, ovviamente, sono inutili e tardive. Come quel pezzo d’Irlanda rimane saldamente in mani britanniche così anche il calcio, dopo Hillsborough, grazie a Hillborough, è stato strappato a chi lo amava per diventare il giocattolo di miliardari, sceicchi e tv a pagamento.
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