La crisi raccontata agli umani

» modern days | 6 February 2009, 23:11 | ::

questa che segue è la traduzione più o meno fedele (c‘è qualche aggiuntina) di un illuminante pezzo uscito su linchpin, noto fogliaccio sovversivo canadese. La proponiamo a beneficio dei nostri affezionati lettori sempre avidi di conoscenza. (L’immagine viene da qua)

LA CRISI CHE ATTRAVERSIAMO non è dovuta solo alla deregulation finanziaria che ha permesso alle banche di giocarsi i quattrini dei risparmiatori al superenalotto dei mercati finanziari.
Sicuramente libero mercato e finanziarizzazione dell’economia hanno una bella fetta di responsabilità , ma la vera origine di questa situazione va molto oltre queste politiche suicide, molto oltre la retorica delle mele marce e dell’“economia reale” buona soffocata dall’economia virtuale cattiva. Più semplicemente, stiamo per raggiungere il limite del modello economico che è stato imposto al mondo negli ultimi 30 anni.

Lo possiamo chiamare, per comodità , modello del “salario basso/debito crescente“. A cominciare dai primi anni ’80 tale modello ha sostituito progressivamente quello che chiameremo del “salario alto/produzione crescente“. Con il modello precedente le imprese cercavano sostanzialmente di tradurre le conquiste salariali ottenute dai lavoratori con le lotte degli anni ’60 e ’70 in maggiori profitti, principalmente in due modi:

  1. richiedendo maggiore produttività 
  2. spingendo il consumismo all’estremo, in modo che i lavoratori spendessero i propri salari più alti comprando i prodotti che producevano.

Il compromesso tra salario e produttività  è conosciuto come productivity deal.

Alla fine degli anni ’70 i lavoratori ruppero questo ciclo ottenendo sia salari più alti che servizi sociali migliori (ovvero un salario sociale più alto), rifiutandosi però di aumentare la produttività  tramite il ritmo di lavoro, che aveva raggiunto già  livelli sovrumani. A quel punto sotto attacco erano i profitti delle imprese, l’unica variabile dell’equazione che avrebbe potuto ridursi coeteris paribus.

La risposta dei governi di tutto il mondo fu l’attacco alle conquiste salariali e sociali dei lavoratori.
Uno studio del Centro Canadese per le politiche alternative dimostra che il salario reale odierno di un canadese (al netto dell’inflazione) si trova allo stesso livello di quello degli anni ’70, ma contemporaneamente i servizi sociali sono drasticamente diminuiti. Da qui il lato “bassi salari” dell’equazione. L’inizio di questo percorso, da noi, in genere si fa coincidere simbolicamente (ma non troppo) con la marcia dei 40.000 di Mirafiori. La “classe media” marciava contro gli operai schierandosi deliberatamente dalla parte dei padroni a cui ambivano somigliare. Il trascorrere degli eventi, come vedremo, non sarà  tenero con loro.

I salari bassi, tuttavia, sono un bel problema per i profitti. Se i salari sono troppo bassi i lavoratori non possono permettersi di comprare i beni che essi stessi producono sempre in maggiore quantità . Dal punto di vista delle imprese il problema non è ovviamente il disagio dei lavoratori, ma il fatto che le merci non vengano vendute in quantità  sufficienti da garantire i profitti desiderati, generando il classico problema di sovrapproduzione. In definitiva il modello a bassi salari si rivela intrinsecamente insostenibile.

Una soluzione che le grandi imprese e il governo USA hanno trovato per il problema è stata quella di spingere le politiche di liberalizzazione commerciale con trattati come il NAFTA, SPP (Security and Prosperity Partnership) che permettono alle imprese di vendere i prodotti in tutto il mondo e superare la dipendenza dal livello dei salari e dei consumi dei lavoratori domestici. Queste politiche non risolsero del tutto il problema, dal momento che i salari erano sotto attacco in tutto il mondo. Nel caso del Canada ad esempio, i salari dei lavoratori USA, il principale partner commerciale, erano ancora più bassi di quelli canadesi. Nella migliore delle ipotesi, il commercio senza frontiere rallenta soltanto il momento della resa dei conti, ma non la scongiura.

Una strategia per evitare momentaneamente il tracollo è quella di ridurre il prezzo dei beni consumati da parte di un settore della forza lavoro riducendo i salari di un altro settore, quello che li produce ma non li consuma. Su questo modello nascono Wal-Mart e i suoi epigoni globali e si fonda la globalizzazione: supersfruttando i lavoratori in Cina e in altri paesi, le imprese possono abbassare i prezzi dei loro prodotti in modo che i lavoratori occidentali con i loro salari ridotti all’osso possano continuare a permetterseli.
In questo modo le lacrime e il sangue dei lavoratori di una parte del mondo servono per costruire una sottilissima rete di sicurezza per i lavoratori dell’altra.
Se non fosse che anche questa strategia è insostenibile.

Da un lato, i lavoratori supersfruttati tendono a resistere, facendo così alzare i salari. I cinesi stanno lottando con le unghie e con i denti: il China labour bullettin parla di decine di migliaia di scioperi l’anno e altre forme di boicottaggio della produzione; le lotte hanno obbligato recentemente il governo cinese a introdurre una serie di benefici per i lavoratori, il che farà  inevitabilmente alzare il prezzo dei beni. Senza contare che, in ogni caso, questa strategia non può ridurre il prezzo di alcuni beni: le case, le automobili, l’istruzione richiedono livelli alti di manodopera che, indipendentemente da quanto bassi siano i salari di chi li produce, continueranno a costare migliaia di euro. Se i lavoratori non possono permettersi di comprarli in grande quantità , i profitti non si possono realizzare e la crisi sopraggiunge ugualmente.
La ragione per cui questo non è ancora successo ci porta alla seconda parte del modello salari bassi/debiti alti.

La disponibilità  di credito a buon mercato ha permesso ai lavoratori di prendere a prestito grandi somme di denaro e consumare più di quanto si potessero permettere. E’ questo che, più di ogni altra cosa, spiega il motivo per cui un’economia fondata su salari sempre più bassi non sia ancora collassata: mutui con interessi irrisori, finanziamenti “a tasso zero” per l’acquisto di automobili, carte di credito “revolving” in ogni portafogli e finanziarie a ogni angolo di strada hanno consentito ai consumi di crescere nonostante i salari fermi.
Per le imprese questo ha significato prendersi il meglio dei due modelli: salari bassi + consumi alti significano profitti astronomici. Per i lavoratori questo ha significato insicurezza lavorativa e ansia per i debiti crescenti. Nulla che rappresentasse un problema per le imprese, fin quando le cose continuavano in tal modo. Ovviamente non serve un dottorato in economia per comprendere che a un certo punto la gente non ce l’avrebbe più fatta a pagare i debiti, coi salari che diminuivano e gli interessi che aumentavano.

Ed è precisamente ciò che un bel giorno è accaduto nel mercato immobiliare USA, con milioni di americani che non sono stati più in grado di pagare il mutuo. Il fatto che banche e investitori abbiano usato quei mutui per giocare d’azzardo sui mercati finanziari, perdendo miliardi di dollari, è un affare molto serio, ma nel lungo periodo non è così serio come il fatto che milioni di persone negli Stati Uniti siano diventate insolventi sotto il peso dei debiti. Al di là  dei mutui per la casa, negli USA il debito “da carta di credito” ammonta a un trilione di dollari (1.000.000.000.000$) mentre il debito derivante dai finanziamenti per le automobili supera le centinaia di miliardi. Nessun bailout dei consumatori sul modello di quello applicato alle banche sarebbe in grado di risolvere il problema.

In altre parole l’economia USA basata su salario basso / debito alto sta implodendo. I canadesi sono indebitati soltanto un po’ meno degli americani e gli italiani abbastanza di meno, per fattori – come si dice – culturali.

Quello che vediamo capitare negli USA, cioè che i cittadini non sono più in grado di pagare il mutuo della casa, le rate della macchina, il prestito scolastico e quelle altre miriadi di debiti di cui sono stati convinti di aver bisogno, è una preview abbastanza terrificante di quello che può succedere qui da noi. I problemi maggiori .
Gli Stati Uniti sono anche una finestra da cui sbirciare quello che succede se la soluzione alla crisi viene lasciata nelle mani di quelli che l’hanno provocata: decine di miliardi per i ricchi, repressione per gli altri. L’altra volta, nel 1929, dalla crisi si è usciti con una bella guerra e qualche milione di morti. La via della guerra l’ha già  provata Bush il giovane, ma non è andata come si sperava.

Staremo a vedere come si muoverà  il Presidente2.0, qui da noi abbiamo già  individuato un paio di nemici interni che, in questi casi, tornano sempre buoni. Anche perché, come è evidente dagli ultimi accadimenti, anche per noi la strada sembra essere quella già  percorsa agli inizi del secolo scorso.

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