disease

» modern days | 13 July 2005, 19:51 | ::

La rivolta delle macchine è compiuta. La valvola del minimo ha ceduto, così la batteria, e adesso il server con gli hard-disk bruciati. Lo scooter non cerca più di disarcionarmi, ma usa contro di me la sottile arma della deterrenza: impregna le mie già  lacere vesti di un pungente odore di benzina ogni volta che provo a usarlo.
Cerco di tornare a casa in autobus. Monto, mi siedo, saluto un tale. “ehilà !”
“Salve”, mi fa, con la faccia di chi non caca da un mese.

Salve.
I rapporti di lavoro proiettano una griglia interpretativa perversa su ogni manifestazione della socialità . Il tale, normalmente, ha a che fare con me per lavoro, quindi mi dice “salve” anche se siamo in tutt’altro contesto e io ho sfoderato il mio sorriso da amicone delle bevute al sabato sera.
Il bus fa un bel giro e mi riporta al punto di partenza: era quello sbagliato.

Ho dei problemi con i calcolatori digitali, il motore a scoppio e i trasporti pubblici. Sono appena scampato a un attentato ferroviario e a un deragliamento.
Mi incammino per il selciato con gli occhiali traslucidi da snowboard sulla testa facendomi oscillare di fianco una corda rossa con lo stemma del Penny Market e certe chiavi attaccate. Il caldo è soffocante, si annaspa nella calca del meriggiare pallido e contorto, in quella che che un tempo fu passeggiata trash e che oggi sembra una nuotata controcorrente nell’ovatta.

Lo spazio vuoto intorno alla mia figura fluttuante è riempito dalla gente. Mostri assurdi che un tempo, forse, sono stati degli esseri umani. Molti anni prima di divenire farcitura per abiti variopinti, monili e iscrizioni prive di senso (gigolo latino, 500€ per night): le merci che osservano con bramosia al di là  delle vetrine.

Lungo la grande vasca globale gli americani sono facilmente riconoscibili. Per i cappelli sulle orecchie e l’aria inevitabilmente ottusa i maschi, per le gonnelline corte e i toppini colorati le femmine, così incredibilmente uguali le une alle altre che si riescono a distinguere soltanto quelle che mettono in esposizione porzioni più cospicue di carne. Perché l’occhio non è ancora del tutto assuefatto, ma non manca molto. La total disclosure anestetizzerà  l’uomo occidentale come nessun velo potrà  mai fare con quello mediorientale.
Anzi.

Anzi.
Le voci di questi meravigliosi frutti della grande “democrazia” si fondono in un’unica cantilena stridula e uniforme
and i was like
and he was like
and i was like
and he was like

Gli albanesi si distinguono per non riuscire ad essere tamarri quanto vorrebbero. Gli asiatici si distinguono per riuscire ad essere molto più tamarri degli occidentali che imitano.

Mi siedo sulle scale della piazza. Una volta ero solito vestire degli occhiali rotondi che, a mio parere, mi rendevano somigliante ad Antonio Gramsci. Una donnina, tale Ester, un giorno mi disse con aria lasciva “è proprio vero che assomigli a Gramsci..”, guardandomi dal basso verso l’alto come in un film porno.
In piazza Gramsci la gente prende gli autobus e io la guardo ondeggiando il mio nastro del Penny Market con l’aria dell’uomo che ha visto il mondo.
Un vecchio alcolizzato si trascina per la piazza piegato in due con la bottiglia in una mano e una sigaretta che gli pende dalla bocca. Guardo l’orologio. Sono le sette e trentacinque.

Giovani madri faticano e tirare i passeggini negli autobus, una donnina cammina nervosamente in attesa di qualcuno.
La canadese Brenda, che conobbi in circostanze misteriose, entra dal tabaccaio e ne esce poco dopo con un bel pacchetto fiammante di Pall Mall rosse.
Il barbone arranca con le braccia protese dietro un gruppo di giapponesi piccole e variopinte che, spaventate, zampettano svelte svelte verso gli amici come un piccolo gregge guidato da un pastore incanutito e storpio. Guardo di nuovo l’orologio, sono le sette e quarantuno.

Alle sette e quarantaquattro il barbone viene a sedersi accanto a me. Una legge immutabile dell’esistenza sancisce che, data un’area di qualsiasi dimensioni, tutto il disagio presente in quell’area tenderà  a concentrarsi nel minore spazio possibile nel più breve tempo possibile.

Il barbone parla con un rantolo sommesso, la sua voce è il frutto di una fatica sovrumana, lo sforzo per proferire le parole gli segna il volto con rughe sempre più profonde.
E mi da del lei.

“Lei da dove viene?”
“Lavora qui in città ?”
“Ha per caso degli spiccioli?”

Anche io gli do del lei per non guastare il clima di cordialità . Ogni tanto implode e si accascia su se stesso, poi lentamente si rialza emettendo un sibilo.

- Lei ha una laurea?

- No. Un giorno forse

- E quanto le manca?

- Non lo so. Nessuno lo sa.

- Come è possibile che lei non lo sappia!

Il barbone sembra trarre rinnovato vigore dalla mia indolenza, fa addirittura per alzarsi, ma ripiomba su se stesso con un gemito.
Segue una lunga pausa di silenzio.

- Ha per caso una sigaretta?

- No

- E il pacco intero che ha in tasca?

- E’ vuoto

commenti

  1. Vai in ferie, mi sa che è ora… — gionni    20. July 2005, 14:01    #
  2. ma noo.
    si sta così bene qua. me    20. July 2005, 14:34    #
  3. è quello che gli dicevamo noi, poi per fortuna si è dato una mossa e ha prenotato la sua settimana di ferragosto a formentera. j    20. July 2005, 15:01    #
  4. saluti dal passato. abbracci calorosi ai punti e alle virgole, una pacca sulla spalla ai capoversi, una carezza indulgente ai refusi, uno sguardo di sincera amicizia al font e un pensiero generale di affetto a tutte le forme discrete di bellezza che banchettano sulle spoglie invidiose della realtà.
    Cià! — Aljosa ecumenica    22. July 2005, 00:25    #
  5. per i punti, le virgole e i capoversi ci sono i revisori di bozze..
    ;-P

    HjK    11. August 2007, 10:41    #
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